La salute in pillole

Cisti renali

Le cisti renali sono la forma tumorale benigna maggiormente diffusa, soprattutto nella popolazione che ha superato i cinquant’anni di età, anche se la c.d. “malattia policistica autosomica recessiva” è anche definita “infantile” proprio perché colpisce prevalentemente bambini, anche infanti, e giovani. Le cisti renali, che hanno un carattere benigno nel novantanove percento circa dei casi, vengono scoperte spesso in maniera del tutto casuale, in occasione di esami ecografici precauzionali o mirati ad altre patologie, dato che, almeno quando si tratta di cisti isolate di dimensioni ridotte, in genere non presentano sintomi particolari; la sintomatologia, comunque, è connessa anche alla posizione (si possono avere, in proposito, cisti corticali, midollari e corticali-midollari, le quali, a loro volta, possono essere unilaterali o bilaterali) e ad altri fattori. Tali neoformazioni assumono la forma di strutture cave c.d. “sierose”, poiché contengono un liquido che, come consistenza e colore, assomiglia all’urina, anche se possono rintracciarsi delle tracce di sangue, qualora uno o più dei vasi sanguigni che lo irrorano si siano rotti. Queste estroflessioni sacciformi possono avere dimensioni fortemente variabili (da pochi millimetri a molti centimetri) e sono situate, nella maggior parte dei casi (circa sei su dieci), nella parte inferiore del rene, più precisamente partendo dalla sostanza corticale del rene e sollevando la capsula del medesimo per estendersi verso la superficie. Nonostante le cisti si trovino, appunto, nei pressi del parenchima renale, non di rado esse tendono a mantenere legami sempre più esili con le strutture originarie, fino a distaccarsi completamente da esse. Per quanto concerne la formazione delle cisti, pur non essendo state ancora chiarite con esattezza né le cause né l’esatto meccanismo patogenetico, pare certo oramai che vuoi il tessuto epiteliale, vuoi il liquido interno alle cisti siano del tutto analoghi alle rispettive strutture di provenienza del rene; non si è appurato, però, se sia il meccanismo di secrezione a sollecitare la moltiplicazione cellulare o viceversa. Alcuni fattori predisponenti, inoltre, sembrano attualmente accertati, come il fumo, l’inquinamento atmosferico, l’esposizione prolungata a certe sostanze tossiche, l’abuso di analgesici contenenti fenacetina ed elevati livelli ematici di colesterolo e lipidi. Anche il fattore genetico pare avere una influenza rilevante, almeno per determinati tipi di cisti renali.
A fianco alle cisti semplici (a loro volta distinguibili in “tipiche”, quelle più diffuse, “atipiche” o “complicate”, che meritano un trattamento mirato, per evitare pericolosi effetti collaterali), la medicina individua numerose categorie di cisti. Tra queste ricordiamo le cisti associate a neoplasie renali multiple (ad esempio, la malattia cistica uremica o la sclerosi tuberosa), la malattia policistica autosomica (che, in genere, evolve in insufficienza renale anche grave e può essere “recessiva” o “infantile”, tra le poche che interessano, almeno, di norma, solo bambini e giovani, oppure “dominante”, se colpisce prevalentemente soggetti adulti), le cisti midollari, quelle del seno renale e quelle multiloculari, nonché il rene multicistico displasico. Ognuna di queste diverse tipologie di cisti richiede delle terapie specifiche e mirate, la cui incisività è correlata al livello di rischio per l’intero apparato urinario e anche per numerosi altri sistemi, tra cui quello gastrointestinale e quello linfatico. Nella maggior parte delle situazioni, tuttavia, si è di fronte a cisti di dimensioni non rilevanti e isolate, che, solitamente, restano a lungo silenti e asintomatiche: ebbene, in questi casi, si tende a non sottoporre il paziente ad alcun tipo di cura, anche se verranno ripetute, a intervalli di tempo più o meno ravvicinati, delle ecografie volte a controllare che le cisti non si siano ingrandite o moltiplicate e non abbiano subito delle modificazioni morfologiche preoccupanti. Qualora, invece, i sintomi delle cisti siano fastidiosi (dolore e gonfiore addominale, fitte all’altezza della schiena, ipertensione, nonché ematuria, ossia perdita di sangue tramite le urine) o le stesse neoformazioni presentino dimensioni o aspetto anomalo, è opportuno eliminarle attraverso un intervento che, preferibilmente, viene effettuato in laparoscopia. Ove possibile, è meglio ridurre il grado di invasività e procedere a un accesso c.d. “retroperitoneoscopico”, che necessita di solo tre o quattro piccole lacerazioni cutanee. Quando è significativo il rischio di recidiva, inoltre, non di rado il nefrologo ritiene di primaria importanza iniettare nella cavità peritoneale un agente sclerosante o un mezzo di contrasto. Prima di trattare come abbiamo appena visto la cisti, comunque, il primo e basilare passo da compiere è sicuramente quello di accertare con sicurezza la natura della neoformazione, per scongiurare una neoplasia maligna. A tal fine, il primo esame che normalmente (all’incirca in nove casi su dieci) è in grado di appurare la natura certamente benigna della cisti è l’ecografia addominale, tecnica capace di rilevare e riconoscere il contenuto liquido caratteristico delle cisti. Qualora sussistano dei dubbi, è indispensabile, invece, ricorrere a verifiche più mirate e puntuali, come la TAC (a volte con l’ausilio di un liquido di contrasto), la risonanza magnetica, l’urografia e l’arteriografia renale selettiva. Ove perfino a seguito di tale genere di esami permangano delle perplessità, è necessario compiere un controllo di tipo citologico e/o istologico mediante puntura transcutanea ecoguidata. Solo in situazioni estremamente rare di ulteriore persistenza del dubbio circa la natura della cisti, si deve ricorrere, quale extrema ratio, all’intervento chirurgico.


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