La salute in pillole

emofilia

L’emofilia è una delle coagulopatie di tipo ereditario più serie e consiste in una disfunzione nel normale processo di coagulazione sanguigna, dovuta all’assenza, alla carenza o alla scarsa funzionalità di uno o più “fattori di coagulazione”, ossia di quelle proteine che contribuiscono alla fisiologica emostasi del sangue. I fattori di coagulazione, più precisamente, sono delle proteine circolanti che, insieme alle piastrine e ad altre proteine, permettono al sangue di mantenere un’adeguata fluidità. Da ciò deriva che, mentre, da un lato, un loro deposito in eccesso può dare origine a pericolosi ammassi che, ostruendo il normale defluire del sangue, possono provocare trombosi (grumi di sangue che bloccano i vasi sanguigni), dall’altro lato, un numero troppo basso di fattori di coagulazione in grado di svolgere correttamente la loro funzione può impedire l’emostasi, con perdite incontrollate di sangue attraverso ferite o perfino tramite organi, sia interni che esterni. I principali sintomi dell’emofilia, infatti, sono l’eccessivo sanguinamento dal naso, dalle gengive, dalle articolazioni o dai muscoli, la presenza di tracce ematiche nelle urine, nonché l’intensa perdita di sangue dopo piccoli traumi o interventi chirurgici (comprese banali estrazioni dentarie). Questi sono sintomi normalmente riscontrabili tanto in caso di emofilia lieve (intorno al venticinque percento dei pazienti) che in caso di emofilia moderata (circa il quindici percento dei malati). Nella maggior parte delle ipotesi (circa il sessanta percento), purtroppo, oltre alla manifestazione particolarmente severa dei sintomi appena menzionati, sono presenti frequenti emorragie (interne ed esterne) e traumi cranici, a volte di tale gravità da rendere difficoltosa l’articolazione muscolare e le attività cerebrali. Nei casi più preoccupanti, non di rado, si giunge perfino a emorragie intracraniche e all’immobilità pressoché totale: è difficile che simili pazienti superino i trent’anni di vita. Come si accennava, l’emofilia è una malattia piuttosto rara (a livello globale, ne è affetta circa una persona su mille) ed ha carattere ereditario. Per la precisione, essa viene trasmessa attraverso dei geni difettosi che si trovano sul cromosoma X. Poiché il cromosoma X è presente in due esemplari nel genere femminile, anche se uno di loro dovesse essere colpito dal disturbo, l’altro sarebbe normalmente in grado di produrre una quantità sufficiente di fattori di coagulazione. Proprio per questo, è rarissimo che le donne si ammalino di emofilia o, comunque, manifestino sintomi derivanti da tale patologia. Non è troppo infrequente, invece, che una donna sia portatrice sana, ossia che, pur manifestando clinicamente segni quasi sempre del tutto trascurabili o risultando completamente asintomatica, abbia uno dei cromosomi X malati. Da ciò consegue la possibilità che la donna trasmetta alla prole la malattia stessa (se il figlio è maschio) ovvero la medesima condizione di portatrice sana (se partorisce una femmina). A seconda di quale sia il fattore di coagulazione mancante o carente, l’emofilia è detta di tipo “A”, se manca o è anomalo il fattore VIII, mentre è detta di tipo “B” (a volte chiamata in medicina “malattia di Christmas”), ove siffatto deficit riguardi il fattore IX. Assai più rara, tanto che non la prenderemo in considerazione, è l’emofilia di tipo “C”, che si verifica qualora manchi o sia presente in numero ridotto il fattore XI. Sotto il profilo diagnostico, oltre ad analizzare attentamente la storia familiare (senza trascurare componenti della famiglia che dovessero essere asintomatici), al fine di rintracciare l’eventuale canale di trasmissione cromosomico, e ad analizzare i sintomi clinici manifestati, solitamente si ricorre a uno specifico controllo di laboratorio su un campione di sangue prelevato dal soggetto. Lo scopo di questa tecnica diagnostica è quello di calcolare il tempo impiegato dal sangue della persona per formare il coagulo di fibrina una volta che il plasma citrato sia stato ricalcificato: si tratta del c.d. “tempo di Tromboplastina Parziale”. Tale esame, in sigla noto come “PTT”, evidenzia, appunto, delle tempistiche più prolungate per la completa formazione del coagulo di fibrina, ogni qual volta sia presente un qualunque tipo di emofilia. Il PTT viene spesso utilizzato anche per prevedere la risposta dell’organismo a un’ipotetica cura a base di eparina. E’ da precisare, tuttavia, che l’emofilia non è l’unica malattia che fa registrare un maggior PTT: risultati simili sono associati, ad esempio, a deficit di vitamina k, a malattie autoimmuni e ad altri difetti di sintesi dei fattori della coagulazione, tra cui anche la malattia di von Willebrand, oggetto di specifica trattazione. Per accertare quale tipo di emofilia sia in corso, è necessario procedere al dosaggio prima del fattore VIII e poi del fattore IX. In entrambi i casi, comunque, tanto i sintomi e i rischi di complicazioni, quanto le terapie consigliate sono pressoché identiche, anche se è diverso il fattore che deve essere somministrato. Oltre al plasma fresco congelato donato da volontari (sufficiente per le patologie meno gravi e utile in entrambe le situazioni), nel caso di paziente affetto da emofilia di tipo A, le sostanze da introdurre (in genere per via endovenosa) sono il fattore VIII ricombinante (prodotto della ingegneria genetica assai costoso sotto il profilo economico), il crioprecipitato o il fattore VIII liofilizzato. In caso di emofilia di tipo B, invece, si usa il concentrato protrombinico, che contiene il fattore IX ed altri fattori della coagulazione. Per le ipotesi di emofilia grave o gravissima, è indispensabile, in genere, il ricorso a terapie sostitutive continuative a base del fattore carente. A tal proposito, è assai utile insegnare anche a bambini di età scolare o, quantomeno, ai loro genitori, le tecniche di somministrazione autonoma della sostanza in deficit; L’assunzione dovrà avvenire con una frequenza media di due o tre volte ogni settimana. In alcuni casi, il problema è stato risolto definitivamente alla fonte, ossia tramite il trapianto di fegato, il principale organo deputato alla formazione dei fattori coagulanti. Data la scarsa disponibilità di donatori di fegato, tuttavia, è rara la possibilità di ricorrere a siffatta soluzione, mentre speranze assai più fervide sono riposte dagli studiosi nei progressi incalzanti che sta registrando l’ingegneria genetica (per quanto riguarda il nostro Paese, limitazioni legali permettendo). Nei casi di emofilia lieve o moderata, d’altro canto, i medici tendono a prescrivere solo adeguate profilassi in previsione di interventi chirurgici, estrazioni dentarie o simili eventi traumatici. In situazioni di emofilia non preoccupante, inoltre, è bene valutare l’opportunità di ricorrere a uno o più dei preparati attualmente reperibili in farmacia, come gli antifibrinolitici (tra cui l'acido tranexamico e l'acido epsilon-aminocaproico) e la desmopressina, che riesce ad elevare temporaneamente i livelli del fattore VIII circolante nei vasi sanguigni.


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