La salute in pillole

La malattia di von Willebrand

La malattia di von Willebrand è la malattia emorragica congenita più frequente a livello mondiale (interessa circa otto persone su mille) e colpisce indifferentemente uomini e donne. A parte quest’ultima importante differenza con l’emofilia (che si manifesta quasi esclusivamente nei maschi), anche la malattia di von Willebrand si verifica ogni qual volta è assente, carente o poco funzionale uno dei “fattori della coagulazione”, che, in questo caso, è il c.d. “fattore Von Willebrand”. Il gene difettoso, che è fonte di produzione del fattore Von Willebrand, è localizzato non su uno dei cromosomi sessuali (quelli X e Y), bensì su un cromosoma c.d. “autosomico” (non sessuale) e precisamente sul cromosoma numero dodici: è per questo che il sesso del nascituro non incide affatto sulle probabilità di trasmissione di tale malattia genetica. Nella maggior parte delle fattispecie, il difetto consiste, in pratica, nella sostituzione di uno dei numerosissimi (circa un paio di migliaia) aminoacidi di cui si compone la proteina in questione, derivante da una mutazione dello stesso DNA. A seconda dell’aminoacido mutato e, quindi, del grado di carenza della proteina de quo, in medicina sono state individuate diverse forme di malattia di von Willebrand, dalla gravità e sintomatologia assai variabile, anche in base all’età e alle condizioni generali di salute del paziente. La situazione clinica più diffusa, comunque, non presenta sintomi particolarmente severi. Come si è già ricordato trattando la problematica dell’emofilia, i fattori di coagulazione sono delle proteine circolanti che, insieme alle piastrine e ad altre proteine, permettono al sangue di mantenere un’adeguata fluidità. Da ciò deriva che, mentre, da un lato, un loro deposito in eccesso può dare origine a pericolosi ammassi che, ostruendo il normale defluire del sangue, possono provocare trombosi (grumi di sangue che bloccano i vasi sanguigni), dall’altro lato, un numero troppo basso di fattori di coagulazione in grado di svolgere correttamente la loro funzione può impedire l’emostasi, con perdite incontrollate di sangue attraverso ferite o perfino tramite organi, sia interni che esterni. Il fattore von Willebrand, in particolare, ha la funzione principale di aderire alle superfici interne dei vasi sanguigni, in modo da permettere il collegamento funzionale tra la parete di vene e arterie, da un lato e le piastrine, dall’altro lato: solo così è possibile che quest’ultime blocchino, mediante una sorta di “tappo”, la fuoriuscita incontrollata del sangue dalla ferita (che, altrimenti, sarebbe pericolosa, perfino se di piccole dimensioni). Tanto premesso, è naturale che i principali sintomi della malattia di von Willebrand siano anch’essi simili a quelli dell’emofilia, ossia l’eccessivo sanguinamento dal naso e dalle gengive (sono assai frequenti gengivorragie anche acute), la presenza di tracce ematiche nelle urine, nonché l’intensa perdita di sangue dopo piccoli traumi o interventi chirurgici (comprese banali estrazioni dentarie). Nelle donne, infine, è frequente un abbondante flusso mestruale, mentre è raro che, nei soggetti affetti dalla malattia di von Willebrand, si arrivi al sanguinamento dalle articolazioni, dai muscoli o da organi interni. In un numero non trascurabile di persone affette dalla malattia de quo, tuttavia, questa resta asintomatica. Per diagnosticare la coagulopatia di cui trattasi, le tecniche utilizzate sono simili a quelle viste per l’emofilia. Fondamentale, in proposito, è il “tempo di Tromboplastina Parziale” (in sigla noto come “PTT”). Lo scopo di tale esame è quello di calcolare il tempo impiegato dal sangue della persona per formare il coagulo di fibrina, una volta che il plasma citrato sia stato ricalcificato. Ebbene, in presenza della malattia di von Willebrand, sono rilevate tempistiche più prolungate di coagulazione. Anche il controllo del tempo di emorragia è una prova immediata e di facile esecuzione che, spesso, fornisce i primi indizi utili per la diagnostica. Questa tecnica si effettua mediante una piccola puntura all’altezza di un lobo dell’orecchio o di un dito: se la fuoriuscita di sangue non si blocca entro determinati parametri temporali, vi è il sospetto, quantomeno in via generale, di una coagulopatia. Esistono, infine, degli esami specifici per rintracciare con certezza la malattia di von Willebrand; questi, però, comportano apparecchiature assai più all’avanguardia e che sono a disposizione, normalmente, solo in centri specializzati o di grandi dimensioni. La terapia principale della malattia di von Willebrand consiste nella somministrazione di una sostanza, detta “desmopressina”, in grado di stimolare la produzione di proteine utili alla coagulazione, come il fattore VIII (carente negli emofiliaci) e, appunto, il fattore di Willebrand. La desmopressina può essere assunta non solo per via endovenosa o orale, ma perfino tramite comodi spray nasali. La terapia è prescritta in via continuativa per i casi più gravi, mentre è necessaria esclusivamente in circostanze eccezionali (ad esempio prima di un intervento chirurgico, anche banale), qualora si tratti di forme più lievi della coagulopatia in questione. Si dimostrano un valido aiuto in molti casi anche dei concentrati di fattore von Willebrand o dei preparati attualmente reperibili in farmacia, come gli antifibrinolitici, tra cui l’acido tranexamico e l’acido epsilon-aminocaproico.


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