La salute in pillole

PERCHÈ TERAPEUTA E PAZIENTE NON POSSONO ESSERE AMICI

   
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25 set. (Laura Tirloni)








Di Laura Tirloni


Ci sono diversi motivi per cui terapeuta e paziente non possono essere amici.



Innanzitutto, sul piano deontologico, così come dichiara l’articolo 28 del Codice degli psicologi , lo psicologo è tenuto ad evitare commistioni tra il proprio ruolo professionale e la propria vita privata, che possano in qualsiasi modo interferire con l'attività professionale che svolge con un dato paziente. A tale proposito, costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi di tipo diagnostico, di sostegno o di psicoterapia nei confronti di persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative profonde, soprattutto se di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale.

Allo psicologo è anche vietata qualsiasi attività che, in virtù del suo rapporto professionale, possa produrre per lui vantaggi diretti o indiretti di carattere economico o patrimoniale, ad esclusione del compenso concordato.



Inoltre, trovarsi a dover seguire, in qualità di pazienti, persone che si conoscono, sarebbe un'evenienza decisamente controproducente per entrambe le parti e anche dannosa ai fini della terapia, in quanto sia terapeuta che paziente potrebbero essere condizionati, lungo il percorso, da pregiudizi reciproci. In tale evenienza, verrebbe inoltre a mancare quella giusta distanza affettiva, che permette al terapeuta di mantenere una visione più lucida e obiettiva rispetto alle tematiche e ai vissuti presentati dal paziente, proprio in quanto non eccessivamente coinvolto sul piano degli affetti.



Allo stesso modo, l'intervento del terapeuta non dovrebbe mai essere condizionato da giudizi di natura morale e l'unico fine della terapia deve sempre essere il benessere del paziente, che si trova al centro della scena. Ecco perché vanno aboliti i legami affettivi come quelli di amicizia e sentimentali, in cui la relazione, in quanto reciproca, implica il benessere di entrambi.



La relazione terapeutica, in questo senso, è unica e irripetibile, proprio per queste sue caratteristiche di asimmetricità. Il terapeuta, infatti, è una figura che è lì solo per il paziente, il suo compito è quello di comprenderlo senza giudicare ed è tenuta al segreto professionale. Sono questi gli elementi alla base del rapporto di fiducia che il paziente deve poter instaurare col suo terapeuta, così da essere in grado di esprimere i propri vissuti, positivi e negativi, in piena libertà e sicurezza. Il paziente, inoltre, non deve conoscere dettagli intimi o personali della vita del terapeuta, che gli impedirebbero di proiettare su di lui i propri vissuti, legati alle esperienze relazionali significative del passato (transfert). Il terapeuta sarà quindi uno 'specchio riflettente' e rispecchierà ciò che il paziente ha bisogno di vedere in lui.



Il terapeuta, inoltre, deve sempre essere in grado di contestualizzare il 'coinvolgimento affettivo' del paziente nei suoi confronti (che è di natura transferale e proiettiva), e questo è anche reso possibile dall'essere una persona affettivamente appagata, al di fuori del proprio ruolo professionale, in quanto non è nel contesto terapeutico che egli deve ricercare gratificazioni di natura affettiva.



Pensiamo, inoltre, a cosa potrebbe succedere se il terapeuta si facesse coinvolgere emotivamente dalle vicende esistenziali di ciascuno dei suoi pazienti? Probabilmente sarebbe costretto ad abbandonare la propria attività ancor prima di iniziarla!

Il terapeuta, in realtà, è una persona che, di norma, ha seguito un percorso più o meno lungo di analisi personale e spesso didattica, per aumentare i propri livelli di consapevolezza e poter diventare uno strumento “tarato” al servizio dei suoi pazienti.


Dott.ssa Laura Tirloni

Psicologa Clinica a Milano

[email protected]

















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