La salute in pillole

SE MI MALTRATTA, PERCHE' NON RIESCO A LASCIARLO?

   
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10 mar. (Laura Tirloni)









Di Laura Tirloni


Troppo spesso la cronaca ci riporta a fatti di violenza subiti dalle donne tra le mura domestiche e può capitare di interrogarsi sulle ragioni che spingono queste donne a mantenere in piedi un rapporto con uomini che le maltrattano.


Contrariamente a quel che si può pensare, non sono rari i casi in cui donne che rivestono ruoli lavorativi di responsabilità e che conducono una vita pubblica brillante, nella vita privata si trasformino in vittime, accompagnandosi a partner violenti e svalutanti.


Cosa mantiene queste donne di successo in una relazione di dipendenza affettiva con partner violenti? In questi casi, dismessi i panni della donna vincente, nel privato della relazione sentimentale queste donne possono sperimentare la debolezza e la sottomissione e trarne, in qualche modo, piacere.


In altri casi, le donne maltrattate sono figure che possiedono un'autostima fragile e in qualche modo pensano di non meritarsi nulla di buono dagli altri. In quest'ottica, il maltrattamento può essere percepito come un “giusto” trattamento rispetto alla propria indegnità. Talvolta, già nella famiglia d'origine, hanno attraversato esperienze di violenza fisica e psicologica e si sentono quindi in grado di gestirle anche nella relazione presente, paradossalmente più che un atteggiamento positivo di amore e di rispetto da parte dell'altro.


Consideriamo poi che spesso, il ruolo della vittima, tende a interscambiarsi con quello del carnefice, per cui sollecitando il senso di colpa dell'aggressore, la vittima ottiene la sua rivincita e infligge un dolore al suo carnefice, in un gioco di ruoli che può essere difficile da spezzare e che a volte perpetra le violenze per anni.



Ci sono infine casi in cui la donna, dipendente a livello economico dall'uomo e spesso con figli, preferisce preservare l'unione familiare a costo di grandi sofferenze, non trovando la forza di denunciare i maltrattamenti subiti e portando avanti un ideale di famiglia unita che non esiste più.



In tutti questi casi risulta fondamentale per la donna riuscire a mettere a fuoco le componenti psicologiche personali che alimentano la sua relazione “malata”, perché se il più delle volte non è possibile cambiare l'altro, è invece possibile modificare il modo in cui lo si percepisce, a partire da sé. Ponendosi ad esempio le seguenti domande: “quali vantaggi psicologici ottengo da questo rapporto violento?”, “quali bisogni profondi soddisfa in me la relazione con quest'uomo?”, “cosa mi impedisce realmente di lasciarlo, nonostante la sofferenza che provo?” e via dicendo.


Il lavoro sarà sempre nella direzione di uscire dal ruolo di vittima, per individuare quelle componenti psicologiche individuali che mantengono in piedi il rapporto perverso e impediscono finalmente di dire basta.



Dott.ssa Laura Tirloni
Psicologa-psicoterapeuta
[email protected]





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